Racconti in città/Invito a cena
Invito a cena
– Ancora un po’ di vino? – mi domanda, allentando il nodo alla cravatta.
La bottiglia di Château sinuosa ed elegante che marca un’esile distanza tra i nostri visi, sembra attendersi da un po’ quella domanda quasi avesse urgenza di vuotarsi.
– Perché no, ma senza esagerare – rispondo sorridendo, e lui riempie per metà il mio calice.
Invece abbiamo esagerato eccome: un assaggio di antipasto, capesante su un tappeto di insalata e calamari, e lo Château già terminato. E lui che inizia a farsi più incalzante.
Un invito a cena accettato a denti stretti per non essere scortese col mio capo, dopo averne rifiutati almeno tre di fila senza risultato. Un nuovo incarico per me, quasi certamente, lui seduto qui di fronte che va in cerca del mio sguardo e io che mi dimeno sulla sedia. Certe volte ci si infila in certe trappole.
– Sono contento di trascorrere con te questa serata – sussurra allora accostando la sedia al tavolino. – È che da un po’ di tempo non riesco a non pensarti.
Sarà pure, ma per me non è lo stesso e mi imbarazza la sua intraprendenza. Poi propone un brindisi a questa serata, dice che ce ne saranno molte altre, conosce certi posticini che è un piacere andarci a cena. Io nel frattempo guardo il mare scuro oltre la vetrata alla ricerca di una via di fuga che non so trovare. Non mi resta che bere un altro sorso, e per fortuna arrivano i risotti dal fondo della sala.
– Dell’altro vino, per favore – domanda di volata al cameriere che ci porge i piatti. Spio l’espressione del suo viso e vedo che è determinato a dare un senso alla serata. Ma un minuto dopo la mia testa comincia a mulinare all’impazzata, al punto che mi sembra di svenire. Ci mancava solo questa.
– Mi perdoni un attimo? – gli dico. Poi mi alzo in piedi lentamente e nonostante qualche piccola sbandata raggiungo sana e salva il bagno.
Una volta lì chiudo la porta e mi guardo nello specchio: sono pressoché ubriaca e fatico a stare in piedi, perciò mi piego sopra il lavandino e mi bagno il viso mille volte ad acqua fredda, ci perdo il tempo necessario fino a quando non mi sembra di tornare in me quel tanto che mi occorre. Allora rovescio la borsetta e mi rifaccio il trucco e poi mi dico: stringi i denti, dopo il dessert ritorni a casa e non ci pensi più per un bel po’ di tempo.
Due minuti dopo faccio ritorno al tavolino.
– Tutto bene? – mi domanda.
– Tutto bene, sì – gli rispondo sedendomi al mio posto, ma non è affatto vero.
Il mio risotto nel frattempo si è freddato, lui il suo lo ha terminato già da un pezzo.
Neanche il tempo di mandare giù un boccone e ricomincio a volteggiare nella sala a mezza altezza, lo stomaco schiacciato in una pressa e gli occhi che stentano a restare aperti. Tutto ciò di cui ho bisogno adesso è di atterrare senza schianti e di distendermi su un letto, chiudere gli occhi e aspettare che mi passi. Invece stringo i denti.
– Tutto bene, sei sicura? – mi domanda nuovamente guardandomi perplesso.
– Non è niente, ti assicuro – riesco a dirgli a mezza bocca. – É solo che mi sento un po’ confusa.
– Beh, questo mi lusinga – mi risponde compiaciuto, e afferra la mia mano.
Poi torna a versarmi dell’altro vino.