Under 14 – Guarda com’è alto il cielo
Guarda com’è alto il cielo
di Camilla Ceoldo
Tutor: Massimo De Angelis – Scuola: Istituto Massimo di Roma
Il sole batteva sui vecchi edifici di roccia di Damasco, le strade erano deserte e l’aria pesante stagnava immobile su ogni cosa; la sabbia chiara e fine scivolava tra le mie mani come il tempo che scivola tra le dita senza poterlo fermare. Sembrava tutto così normale: i colori dei tessuti disposti in ordine sulle bancarelle, i profumi delle spezie, riuscivo quasi a sentire le urla dei mercanti di sale, il sole, si era persino alzato un filo di vento che, timido, bussava alle porte delle case per poi entrare e rinfrescare l’ambiente. D’un tratto sento un’aria calda, afosa, intorno a me, inizio a tossire ma più tossisco più diventa soffocante l’atmosfera; mi giro, lentamente, per capire cosa sia e vedo strane polveri aleggiare nel cielo, mi volto completamente: la guerra è iniziata. Mi sveglio urlando e tutta sudata, non può essere, era tutto vero, così vero! Il sole, le case, la sabbia…
La sabbia. La mia sabbia che mi ha accompagnata in tutte le avventure. “Metti la sabbia nelle tasche o volerai via!” mi urlava sempre la nonna. La nonna… è sempre stata così fondamentale per me che solo il suo pensiero mi faceva venire le lacrime agli occhi; “ Le vere donne non piangono” e lei si che era una vera donna: i suoi occhi insolitamente chiari avevano visto tante di quelle guerre e sofferenze, le dita sottili e ormai callose tessuto così tanti arazzi, la testa sorretto così tanti pesi che lo era diventata per forza. Torno con la mente al presento e sveglio Siham: “Siham, Siham svegliati!” “Yasmin che succede? Stai bene? Sei ferita?” “Sto bene Siham vorrei solo dell’acqua.” Lei mi guarda con fare interrogativo ma poi mi passa la damigiana con l’acqua. Siham è la mia migliore amica, ha diciassette anni ( quattro più di me ) ed è davvero bellissima: ha gli occhi color nocciola, la bocca sottile ed elegante e un punto rosso proprio in mezzo alla fronte.
La sua famiglia ha origini Indù e lei ne è sempre andata molto fiera. Ha un fratello più piccolo ma mi ha sempre trattata come se fossi parte della famiglia; il fratellino ha pianto quando siamo partite. Sono ormai quattro settimane che siamo in viaggio su questo furgone orribile, l’aria sembra ogni giorno più rarefatta e il sole batte imperterrito sopra le nostre teste. Oggi saremmo dovuti arrivare alla seconda tappa del viaggio, un grande edificio si stagliava infatti di fronte a noi; gli uomini ci fecero bruscamente scendere e ci spinsero al di là di un grande cancello di ferro. Mi aggrappai al braccio Siham, non volevo lasciarla andare, non pure lei.
Avevo paura ma la presenza di Siham riusciva a tranquillizzarmi un po’; ci hanno condotto in un grande spazio all’aperto e ci hanno detto qualcosa in arabo che però non ho ascoltato. Guardo Siham e lei ricambia il mio sguardo con un sorriso tranquillizzante, eppure noto un lampo di paura balenarle negli occhi: aveva capito ciò che gli uomini avevano detto. Mi guarda dritta negli occhi e finalmente capisco, i suoi genitori non potevano mandarle soldi in quel momento: avrebbe dovuto pagare col suo corpo. Rivedo Siham solo la sera, fino ad allora ci avevano divisi in camere siili a celle senza bagno né servizi; la lunga treccia di capelli neri e ordinati di Siham era stata sciolta e ora i capelli le ricadevano disordinati sulle spalle, i segni che le lacrime avevano solcato sulle guance erano evidenti e un grande livido violaceo le segnava il viso.
Entra in camera in silenzio, si toglie le scarpe e si sdraia sul letto cigolante. Passa un minuto, due minuti, tre, quattro. Si crea una starna tensione tra di noi, mai stata presente prima, decido di fare la cosa più spontanea che mi sento: tolgo le scarpe, mi sdraio accanto a lei e inizio ad accarezzare i capelli mentre lei scoppia in singhiozzi. A nessuno delle due sembra strano, ci sentiamo come chiuse in questa nostra bolla che abbiamo creato solo lei, solo io, solo noi. Ci svegliamo la mattina dopo di soprassalto, ci prepariamo in tutta fretta e scendiamo nel cortile, ci riferiscono che il giorno seguente sarebbero ripartiti coloro i quali avevano pagato e alla fina, sia io sia Siham, avevamo saldato il debito. Il giorno passava lento ma finalmente arriva la sera, io e Siham ci ritiriamo nella nostra cella e, senza nemmeno guardarci, abbiamo la stessa idea: togliamo le scarpe e ci sdraiamo sul letto una affianco all’altra.
Dopo qualche minuto Siham mi indica la finestra e mi sussurra: “Guarda com’è alto il cielo” “Siham, come fa il cielo a contenere tutte le stelle e i sogni?” “Ma, Yasmin, il cielo non contiene i sogni.” Io rimango in silenzio qualche minuto: “E invece si” e così ci addormentiamo una stretta all’altra, quasi come se fossimo una persona sola. L’indomani ci prepariamo per il viaggio e saliamo in fretta sul camion, abbiamo avuta molta fortuna perché il tratto che passa per il deserto si fa sempre a piedi eppure noi siamo stati tanto fortunati da poterlo percorrere sul camion. Il viaggio è durato tre giorni ma finalmente abbiamo raggiunto il mare; giunti lì abbiamo pagato l’ultima rata e siamo salite.
La prima notte io e Siham l’abbiamo passata a guardare le stelle, il dondolio dello scafo e l’infrangersi delle onde contro l’imbarcazione ci facevano sentire quasi protette ma sapevamo che il pericolo era nostro compagno in qualunque momento. Il giorno seguente ci alzammo di soprassalto svegliate da una scarica di colpi che, ladri, hanno rubato la vita a molti di noi, non sapevamo che fare, come comportarci, guardai Siham ma nei suoi occhi vidi solo la paura di morire che le stringeva la gola, così si limitò a stringermi, stringermi così forte da non lasciarmi mai più. I giorni erano sempre peggio ma sapevamo che la luna avrebbe mantenuto la sua promessa di comparire e tutte le sere saliva maestosa nel cielo. Quando ormai stavamo per perdere la speranza alzai lo sguardo capii che ci saremmo salvate, la vidi, lì, proprio di fronte a noi: l’Italia.